Il Giro più brutto ci regala la nuova Italia del ciclismo che verrà: sbocciano i giovani talenti azzurri. Il Pagellone di SportFair

SportFair

Il Giro d’Italia di quest’anno non ha regalato grandi emozioni: il pagellone di SportFair

Sarà che abbiamo ancora in testa la straordinaria impresa di Chris Froome, che lo scorso anno ha ribaltato il Giro d’Italia fino a quel momento di Yates e Dumoulin con un’impresa d’altri tempi attaccando sul Colle delle Finestre a 80km dal traguardo e andando a vincere la penultima tappa, a Bardonecchia, in modo eroico, con ben 3 minuti tondi tondi sul secondo classificato, un certo Richard Carapaz, passato quel giorno quasi inosservato all’ombra del britannico. Sarà che ricordiamo anche la corsa bellissima di due anni fa con la sfida infinita tra Dumoulin, Quintana, Nibali (così nell’ordine sul podio, tutti nel giro di 40 secondi) e il record dei primi cinque classificati (con Pinot quarto e Zakarin quinto) entro 2 minuti. E sarà che tre anni fa lo stesso Nibali aveva centrato l’impresa proprio nell’ultima tappa, ribaltando il Giro su Chaves e Kruijswijk. E sarà ancora che quattro anni fa sul podio erano saliti Contador, Aru e Landa, con la doppietta del Cavaliere dei Quattro Mori a Cervinia e Sestriere nelle ultime due tappe alpine.

Massimo Paolone – LaPresse

Sarà. Ma sarà anche che quest’anno l’emozione più grande che ci ha regalato il Giro d’Italia è stata la vittoria da brivido di Damiano Cima a Santa Maria di Sala, in volata sul gruppo dopo 172km di fuga. Senza nulla togliere al successo del 25enne bresciano della Nippo-Vini Fantini, quest’anno il Giro d’Italia non ha regalato grande spettacolo. Senza squadre forti al punto da controllare la corsa (vuoi vedere che era meglio quando c’era il team Sky con un esercito di avversari pronti a fare follie per attaccarli?!?), abbiamo assistito a tappe eccessivamente tattiche con i capitani che si controllavano tra loro. La vittoria di tappa è andata 11 volte alla fuga da lontano, anche questo un record senza precedenti non solo per il Giro ma per tutte le grandi corse a tappe. E sul trionfo del giovanissimo Richard Carapaz, 26 anni appena compiuti proprio nell’ultima settimana della corsa, rimane l’errore suicida dello Squalo dello Stretto che altrimenti oggi sarebbe stato senza ombra di dubbio sul gradino più alto del podio. Ciò non scalfisce di un niente la vittoria dell’ecuadoregno, a cui va il voto più alto del nostro Pagellone:

Richard Carapaz, 10 & Lode

Marco Alpozzi/LaPresse

Vincere il Giro d’Italia a 26 anni con due splendide vittorie di tappa: non ci credeva nessuno. I centri scommesse pagavano le giocate su di lui, all’inizio del Giro, 1 a 100: chi ha scommesso 10 euro sul suo successo, ne ha vinti mille. Eppure l’anno scorso aveva già dimostrato di avere numeri eccezionali, vincendo a Montevergine di Mercogliano ad appena 24 anni la prima tappa di un ecuadoregno nella storia ultracentenaria del Giro d’Italia. Ed era arrivato secondo, dietro Froome, a Bardonecchia, chiudendo quarto in classifica generale, seppur lontanissimo dai big (6 minuti dietro Froome, 5 minuti dietro Dumoulin). Quest’anno è stato supportato da una squadra eccezionale, si è mosso molto bene sfruttando l’eccessivo tatticismo di Nibali e Roglic che l’hanno sottovalutato entrambi. E alla fine è stato Nibali a rimetterci più di tutti, perchè quel giorno è stato lui a perdere un Giro che Roglic non avrebbe vinto in ogni caso.

Gian Mattia D’Alberto – LaPresse

Oggi è festa nazionale in Ecuador, e Carapaz questa vittoria se l’è meritata tutta. Perchè se tra i due litiganti c’è un terzo che gode, questo terzo deve saper approfittare del momento giusto e avere comunque la meglio su tutti gli altri aspiranti terzi. La speranza è che i suoi meriti siano superiori ai demeriti degli avversari: potremo dire così che un altro grande campione del ciclismo è sbocciato sulle strade del Giro d’Italia con la sua storia umile e bellissima di una famiglia povera che oggi rappresenta la metafora del ciclismo, sport nobile e democratico al tempo stesso.

Vincenzo Nibali e la Bahrain-Merida: sette meno meno. I suoi scudieri Pozzovivo e Caruso avrebbero meritato di più

Gian Mattia D’Alberto – LaPresse

Vincenzo Nibali è sereno e contento così. Sorride, festeggia, stappa lo spumante riservato al secondo classificato e non lascia trasparire rabbia, delusione o rimpianti. Forse aveva ragione lui quando, nel giorno in cui gli sono girati i “cabbasisi” e da buon siciliano ha visto prevalere il suo orgoglio sulla ragione, ha invitato Roglic a casa sua per vedere la bacheca di trionfi, come a voler dire che a lui non gliene importava di averne uno in meno o uno in più. Non possiamo dimenticare che Nibali ha già vinto due volte il Giro d’Italia, è salito sul podio della corsa rosa per la sesta volta, 11° podio di una grande corsa a tappe. Ci sono riusciti pochissimi nella storia del ciclismo. Ma evidentemente allo Squalo, quasi 35enne, manca quella fame di ulteriori vittorie che oggi l’avrebbe portato in rosa a Verona. Probabilmente non ha, almeno nel Giro d’Italia già vinto due volte, gli stessi stimoli che l’hanno motivato così tanto negli ultimi anni quando ha affrontato la preparazione per i Mondiali o le Olimpiadi. Tutti l’abbiamo visto sereno e tranquillo. Forse troppo. E’ umano, a 35 anni dopo che hai vinto tutto. Fatto sta che questo Giro, Nibali, l’ha buttato via. Per fare un dispetto a Roglic, che però non l’avrebbe vinto comunque.

Lapresse

Ci sta che Carapaz fosse sottovalutato dai centri scommesse, ma è possibile che il corridore più esperto del gruppo e tutto il suo team l’abbiano fatto andar via in modo così sconsiderato mentre lo Squalo rimaneva praticamente fermo a ruota di Roglic? Se Nibali quel giorno avesse tirato un po’ di più, oggi avrebbe vinto il suo terzo Giro d’Italia (e Roglic sarebbe finito in ogni caso terzo in classifica generale). E questo secondo posto per 1′ e 05” da Carapaz lascia in realtà più rimpianti (almeno nei suoi tifosi) rispetto al terzo rimediato due anni fa per 40” da Dumoulin. Alla fine Nibali quest’anno è andato meglio a cronometro (3° a Bologna, 4° a San Marino e 9° a Verona) che in montagna (3° a Courmayeur, 4°C a Ponte di Legno, 5° a Croce d’Aune, 6° a Como, 8° al Lago Serrù), pur attaccando praticamente sempre. Ci ha messo il cuore, ha provato disperatamente a recuperare su Carapaz quando però la frittata era ormai compiuta. Ha fatto un errore enorme in un Giro comunque corso bene: dopo il terribile infortunio dello scorso anno è già tornato sui suoi livelli, ed è già di per sè bello sapere che lo vedremo ancora così in futuro. Non era scontato. Non deve dimostrare nulla a nessuno, e se è contento lui… cosa gli si può dire? Certamente avrebbero meritato qualcosa di più i suoi compagni di squadra Pozzovivo e Caruso. Si sono fatti in quattro per il loro Capitano, loro che hanno già dimostrato di poter puntare al podio del Giro. Pozzovivo è arrivato comunque 19° in classifica generale, spremendosi da gregario, dopo la drammatica caduta del 24 aprile alla Freccia Vallone. E Caruso 23° dopo l’influenza della prima settimana, quando tra L’Aquila e San Marino ha perso 20 minuti a causa della febbre. Ecco, forse loro una tiratina d’orecchie allo Squalo potrebbero anche darla sul pullman del Team. Ma soltanto loro due.

Mikel Landa, Esteban Chaves e Pascal Ackermann, 8 +

Storie diverse, ma tutte positive. Mikel Landa sfiora il podio da gregario. Esteban Chaves torna al successo dopo un anno difficile, nella sua corsa preferita. Pascal Ackermann vince due tappe e la maglia ciclamino ad appena 25 anni con lo stile del suo compagno di squadra Peter Sagan. Sono gli stranieri più belli di questo Giro d’Italia: applausi.

Sboccia l’Italia del futuro: i giovani talenti azzurri pronti al salto di qualità

Gian Mattia D’Alberto/LaPresse

In un Giro privo di grandi emozioni, a regalarci gioie e sorrisi sono stati i giovani azzurri che per la prima volta dopo tanti anni, dimostrano che l’Italia ha ancora un futuro di primissimo piano nel ciclismo. Chi pensava che dopo Nibali ci fosse il vuoto, evidentemente, deve ricredersi. C’è una nuova generazione di talenti che sta sbocciando proprio adesso. E la copertina la merita Giulio Ciccone, appena 24enne. Ha vinto la tappa più dura (e fredda), quella di Ponte di Legno, passando per primo sul Mortirolo e trionfando con un vantaggio enorme su tutti gli altri nella speciale classifica di miglior scalatore. Ottimo 16° posto nella classifica generale.

Gian Mattia D’Alberto/LaPresse

Poi c’è Fausto Masnada che ha vinto la tappa di San Giovanni Rotondo ed è arrivato 20° in classifica generale e 2° nella classifica degli scalatori. A 25 anni. Della stessa generazione di Andrea Vendrame (24 anni) e Giovanni Carboni (23 anni), entrambi protagonisti di un Giro superlativo. E poi c’è Valerio Conti, 26 anni appena compiuti: sei giorni in maglia rosa, unico italiano ad indossarla dopo Nibali nel 2016. Con Alberto Bettiol e Gianni Moscon sono i ragazzi destinati a tenere alto il tricolore nei prossimi 7-8 anni. Ad arricchire d’Italia il Giro 2019 ci hanno pensato i successi, strameritati, di Cesare Benedetti, Dario Cataldo e quello palpitante di Damiano Cima. In ombra, invece, Elia Viviani e Davide Formolo da cui ci aspettavamo qualcosa di più.

Così Nibali ha perso il Giro d’Italia: la ripicca d’orgoglio su Roglic e il regalo a Carapaz, il suicidio dello Squalo a Courmayeur è stato decisivo [DATI]

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