Le accuse di doping rivolte dai media americani e britannici a Marcell Jacobs non sono affatto piaciute a Paolo Camossi, allenatore dello sprinter azzurro dal lontano 2015. Insinuazioni arrivate dopo la vittoria dell’atleta italiano nei 100 metri alle Olimpiadi di Tokyo, successo che ha destato molto scalpore a livello internazionale. Il Washington Post ha gettato delle ombre sull’integrità di Jacobs, così il suo coach ha voluto mettere le cose in chiaro: “le accuse di doping del Washington Post? Che tristezza, mi viene da sorridere – risponde al Messaggero – con due record europei e due italiani in tre giorni, Marcell ha fatto praticamente 6 controlli anti-doping, e sono già 18 quest’anno. Queste insinuazioni non meritano risposta, anche perché vengono da un Paese che ha permesso a un atleta di arrivare alla squalifica per doping (il riferimento a Christian Coleman, fermato fino al 2022 avendo saltato due controlli), e che nella velocità ha il più alto numero di atleti bombati“.
Il contrattacco
L’allenatore di Marcell Jacobs ha poi capovolto la situazione, passando al contrattacco: “se uno migliora dev’essere per forza dopato? No, a meno che in un anno non metti dieci chili di muscoli e ti beccano positivo. La realtà è che non ci stanno a perdere. Sulla carta avevano l’oro in tasca con Trayvon Bromell, che neanche è entrato in finale. Ronnie Baker è arrivato quinto e quello in teoria più debole, Fred Kerley, ha preso l’argento… Mi pare che finora l’unica squalificata per doping nell’atletica leggera sia una nigeriana che si allena negli Usa e con un americano“.