“Compì uno stupro brutale”, la Corte d’Appello di Milano ‘inchioda’ Robinho

La Corte d'Appello di Milano ha diffuso le motivazioni della sentenza con cui, lo scorso dicembre, ha confermato la condanna a 9 anni di carcere nei confronti di Robinho per violenza sessuale

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La Corte d’Appello di Milano ha pubblicato le motivazioni della sentenza con cui, lo scorso dicembre, aveva confermato la condanna a 9 anni di carcere Robinho e un amico per uno stupro perpetrato nel 2013. Il brasiliano, allora calciatore del Milan, aveva compiuto una violenza sessuale nei confronti di una ragazza all’epoca 23enne, violentata insieme ad altre quattro persone che si sono rese irreperibili. Nella motivazione della sentenza, la Corte d’Appello ha sottolineato come “Robinho e i suoi complici abbiano manifestato particolare disprezzo nei confronti della vittima, brutalmente umiliata, cercando inoltre fin da subito di sviare le indagini offrendo agli inquirenti una versione dei fatti falsa e previamente concordata“.

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Fuori rosa

Robinho
Foto di Matteo Bazzi / Ansa

Robinho, che era tornato in Brasile per chiudere la sua carriera nel Santos, era stato messo fuori rosa dopo la conferma della condanna e la pubblicazione di alcune intercettazioni. Elementi che hanno scatenato polemiche e accuse nei confronti del giocatore brasiliano, finito al centro della bufera insieme all’amico Ricardo Falco, anche lui condannato per violenza sessuale a nove anni di reclusione. La Corte d’Appello ha accolto la richiesta di Cuno Tarfusser, sostituto pg di Milano, abile a smontare le quattro consulenze tecniche prodotte dalla difesa di Robinho.

“Floride condizioni economiche”

Robinho
Foto di Matteo Bazzi / Ansa

Stando a quanto scritto dai giudici della Corte d’Appello nella motivazione della sentenza “l’illustrato quadro probatorio, dimostra in modo inequivocabile, a parere della Corte, lo stato di totale incoscienza della persona offesa. A fronte delle floride condizioni economiche di Robinho, decantate dalla difesa e che avrebbero costituito l’obiettivo ultimo della denuncia, egli non ha inteso avanzare neppure una offerta risarcitoria che, anche nella prospettiva difensiva di una mancata percezione del dissenso, avrebbe potuto trovare spazio“.

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