Fondatore della Clinica Mobile e medico con le competenze perfette per i piloti, il Dottor Costa è amatissimo e apprezzatissimo nel mndo delle due ruote. Ha salvato tantissimi campioni della MotoGp e li ha conosciuti davvero tutti: “Uncini, Fernandez, Cecotto, Bonera, Rolando, Capirossi… Ma non eravamo noi. Era la Clinica, con i suoi strumenti, la sua presenza lì, dove serviva, in circuito. Era inutile correre in un Paese nel quale c’era la migliore neurochirurgia del mondo, se poi il pilota non riusciva ad arrivare vivo all’ospedale”.
Il Dottor Costa, oltre a scrivere un libro, è protagonista anche di un film che uscirà quest’anno in televisione perchè di cose interessanti, quasi soprannaturali e miracolose, ne sono successe durante la sua vita e grazie a lui. Come la storia di Doohan: “è una favola incredibile. Quando in Olanda nel ‘92 cadde e si ruppe una gamba, aveva già vinto 5 gare. Gli proposi di venire in Italia a curarsi da noi, in un mese l’avrei rimesso in sella, invece si fece operare in Olanda. Sorsero delle complicazioni che portarono i medici a pensare all’amputazione della gamba. Mi chiamò, allora io noleggiai un aereo privato e andai a prenderlo. Avevo un amico in Olanda, che mi procurò un’ambulanza e due infermieri: entrammo in ospedale, caricammo Mick e uscimmo per andare all’aeroporto. La cosa non destò sospetti, tranne che in Kevin Schwantz. Era anche lui lì, con un polso rotto e un’anca lussata. Disse: ‘Dottore, vengo anch’io’. Li portai in Italia tutti e due”, ha raccontato ancora il Dottor Costa che per far guarire Doohan gli unì le gambe e lo teneva sotto controllo a casa sua, cn l’aiuto di mamma Silvana: “infatti, poi diceva che Doohan l’aveva salvato lei. Forse invece erano stati i tortelli e salumi delle mie colline”.
Grande campione nel suo mestiere, non sempre il Dottor Costa ha ricevuto le riconoscenze che sperava: “proprio Marquez mi ha insegnato che la riconoscenza non è di questo mondo. Dopo averlo aiutato a vincere il Mondiale, nel 2013, mi sarei aspettato che mi chiamasse, quando ha avuto bisogno. Anche perché era chiaro che non poteva tornare a correre con una placca nel braccio. Avrebbero dovuto mettergli un chiodo. Allora avrebbe corso e vinto il titolo”.
Infine non poteva mancare un commento su Rossi: “grandissimo. Il suo segreto è il gioco. Ha corso divertendosi. Conoscevo suo padre. All’inizio lo curavo quando cadeva facendo le gare con il motorino a Tavullia. Un giorno la madre mi disse che desiderava che Valentino prendesse un titolo di studio, io le dissi che avrebbe vinto più titoli correndo con la moto”.