Lo sci negli anni ’70, i curiosi retroscena firmati Gustav Thoeni: “mia zia cucinò il mio primo… trofeo”

Gustav Thoeni ha raccontato numerosi aneddoti della sua carriera da sciatore, rivelando come il suo primo trofeo è stato cucinato dalla zia

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Steccati a proteggere gli sciatori, buche qua e là in mezzo alla neve e attrezzi tutt’altro che di ultima generazione. Questo era lo sci ‘praticato’ da Gustav Thoeni, campione azzurro degli anni ’70 che ha fatto innamorare l’Italia.

Foto di Barbara Gindl / Ansa

Sono trascorsi poco meno di 50 anni dai suoi trionfi, ma i ricordi sono vividi nella mente di chi lo ha ammirato in giro per le montagne europee. Interrogato ai microfoni del Corriere della Sera, Gustav Thoeni ha raccontato numerosi aneddoti della sua vita: “essere italiani è una fortuna clamorosa. Non esiste al mondo un Paese così ricco di storia e di bellezza. All’estero lo sanno; e ci invidiano. Sciare? Lo faccio più o meno quando ho imparato a camminare. Il nonno mi fece i primi sci con due assi di legno, ammorbiditi nell’acqua bollente per curvare le punte. Ne ho ancora uno. L’altro non si trova più. Non c’erano scarpe della mia misura, erano tutte troppo larghe: quando mi toglievo gli sci restavo scalzo“.

L’alloro

Foto di Ansa

Sciare cinquant’anni fa era molto diverso rispetto ad oggi, Gustav Thoeni ne sa qualcosa: “negli anni ’70 le piste non erano levigate come adesso, non esisteva la neve artificiale: quando nevicava poco, nelle curve spuntava la terra. Quando nevicava troppo, si creavano buche tremende. Non c’erano reti, nemmeno sulla Streif; al massimo qualche steccato. Al traguardo si arrivava in mezzo al pubblico. La mia prima vittoria al Trofeo Topolino? Sul podio mi diedero una corona d’alloro. Purtroppo non ce l’ho più. Mia zia la usò per cucinare“.

Il rapporto con Tomba

Gustav Thoeni nella sua carriera da allenatore ha anche avuto tra i suoi allievi Alberto Tomba, uno dei talenti più cristallini dello sci italiano: “davo una mano al capo dello staff, che era Pietrogiovanna. Vidi Tomba saltare tre volte in una manche, ma mi piacque molto. Tino mi disse: ‘lascia stare, è uno di Bologna, un figlio di papà’. Invece era un campione. Conservo una lettera di Alberto, in cui scrive che ognuno ha un po’ cambiato l’altro: io introverso, lui esplosivo… Non è vero che non avesse voglia di allenarsi. Non era mattiniero e d’estate devi essere sul ghiacciaio alle 7, perché alle 9 la neve è già molle. Ma con gli sci ai piedi si impegnava moltissimo“.

 

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