L’inchiesta sulla morte di Maradona vede al momento come indagati sia il medico Leopoldo Luque, che la psichiatra Agustina Cosachov. Entrambi potrebbero finire a processo nel caso in cui gli inquirenti dovessero accertare il reato di negligenza nelle cure, oltre che quello di omicidio colposo.
Una situazione difficile per entrambi, che ha spinto il medico di Maradona a presentare tramite i propri avvocati una memoria difensiva, come proroga per la richiesta di esenzione dal carcere davanti al giudice per le indagini preliminari. Un documento diffuso poi da Telam, agenzia di stampa argentina: “il nostro assistito non ha mai messo in pericolo la vita o la salute del suo amico e paziente, è stato lui a portarlo in clinica per un controllo completo e ha ordinato una TAC che ha mostrato un ematoma subdurale ed è stata decisa congiuntamente un’operazione neurologica, che ha avuto successo“.
I motivi del trasferimento nella casa di Tigre
Nella memoria presentata, Luque poi ha puntato il dito contro le figlie di Maradona, spiegando come sapessero tutto sulle cure al padre: “è stato dimesso in maniera coordinata dalla sua famiglia e dai suoi medici, ed è stato trasferito a casa sua con l’assistenza di uno staff infermieristico e di un assistente terapeutico con le figlie stesse che hanno messo un medico pronto per esaminarlo. Leopoldo Luque era sempre presente quando c’era bisogno. Maradona voleva stare da solo e in modo manifesto, e ha buttato tutti fuori dalla casa in cui si trovava”.
Maradona ha cacciato tutti
Leopoldo Luque infine ha rivelato come Maradona volesse rimanere da solo in casa, avendo cacciato tutti i medici e gli infermieri lì per lui: “è stato Diego Maradona a cacciare il medico (ossia quello scelto dalle figlie), circostanza nota anche alle sue figlie. Anche un’infermiera e lo stesso Luque sono stati cacciati. Diego Maradona ha deciso da solo e ha costantemente rotto i taciti contratti con i suoi professionisti. Diego era anche assistito da uno psichiatra e uno psicologo per i quali tutti consigliavano il suo trattamento, che era la dipendenza. Nessuno poteva immaginare o immaginare che il suo cuore sarebbe venuto a mancare improvvisamente. Nessuno dei medici, compreso il cardiologo che ha effettuato gli studi pre-chirurgici presso la clinica Olivos, ha notato un rischio di vita, tutti hanno indicato la sindrome da astinenza, e questo si è riflesso nella storia clinica e nel certificato di dimissione“.