L’ultimo italiano ad essere stato scelto al primo giro del Draft NBA è stato Danilo Gallinari, esattamente nel 2008 e dunque 12 anni fa. Prima di lui c’erano riusciti Andrea Bargnani e Marco Belinelli, mentre Alessandro Gentile non ha mai fatto il salto definitivo pur essendo stato chiamato al secondo giro.
Il prossimo ad avere il privilegio toccato a Gallinari avrebbe potuto essere Niccolò Mannion, playmaker nato a Siena ma cresciuto negli Stati Uniti, ma il giocatore azzurro è stato chiamato al secondo giro da Golden State Warriors. Un’opportunità da non sprecare per Mannion, che avrà il compito di crescere e maturare al fianco di Steph Curry, un vero e proprio fenomeno nel suo ruolo. Nico ha scelto di giocare per l’Italia, debuttando con la maglia azzurra nel 2018 in un match di qualificazione ai Mondiali. Padre americano e madre italiana, Nico è pronto per fare il grande salto in NBA, dopo essere cresciuto precocemente in Arizona. A livello scolastico ha vinto per due anni consecutivi il titolo statale con la Pinnacle High School di Phoenix, attirando su di sé le attenzioni dei circuiti AAU e disputando sia il McDonald’s All-American che il Nike Hoop Summit.
Al momento di scegliere il college, ha optato per gli Arizona Wildcats diventando compagno di Josh Green e Zeke Nnaji, altri due giovani che puntano ad una chiamata al primo giro. Tra i pregi di Mannion c’è l’intelligenza e il feeling per il gioco, l’azzurro è considerato uno dei migliori passatori della sua età e un playmaker furbo e astuto. Non è un giocatore che ha bisogno di dominare il pallone, ma riesce ad adattarsi al gioco dei compagni. Bravo a tirare con i piedi per terra, Mannion ha tra le sue armi miglior anche il floater sopra le braccia dei difensori.
Tra i difetti c’è sicuramente il fisico, che lo porterà a soffrire la fisicità dell’NBA. Alto 190 centimetri, l’apertura di braccia è inferiore rispetto alla sua altezza, mentre la bilancia segna 86 chili. Un corpo esile sia a livello di spalle che di gambe che determinano una mancanza di forza che gli impedisce di arrivare fino al ferro con convinzione, diventando al tempo stesso un ‘bersaglio’ per gli esterni nella metà campo difensiva. Nemmeno il tiro è il suo forte, avendo chiuso quattro degli ultimi cinque anni con una media del 33% dalla lunga distanza. Sa fare canestro ma non è un tiratore, un fondamentale che dovrà migliorare per riuscire a ritagliarsi il proprio spazio in NBA.