Dieci anni fa, l’Inter conquistava il Triplete. Una giornata storica per il popolo nerazzurro, riuscito a salire sul tutte d’Europa grazie al proprio condottiero: José Mourinho.
Il portoghese a distanza di così tanto tempo ha ricordato quella stagione all’Inter, uno dei pochi club in cui si è sentito a casa: “dieci anni dopo siamo ancora tutti insieme. Proprio l’altro giorno ho parlato con Alessio, ai miei tempi era autista del club: dove e quando succede che un allenatore che va via, dieci anni dopo parla ancora con un autista? Mai. Questa è l’Inter per me: questa è la mia gente. All’Inter c’era gente che aspettava uno come me per completare quel puzzle. Io non sono mai fake, sono originale: sono io e punto. Sono stato anche una testa di cazzo, però ero io” le parole di Mourinho alla Gazzetta dello Sport.
Mourinho poi analizza le tre finali del 2010: “quella di Coppa Italia non la volevo giocare: l’inno della Roma prima della partita, arrivai a provocare ‘Fermate la musica o ce ne andiamo’. A Siena avevo paura: sei giorni dopo c’era la grande finale, temevo non giocassero quella partita come una finale. Zero a zero al 45’, la Roma vinceva 2-0, nello spogliatoio un caldo tremendo, non capivo come aiutare la squadra a svoltare tatticamente. Fu molto dura, e non finiva più. Avevo detto: ‘Un giorno mi piacerebbe vincere un campionato all’ultima’. Quel giorno mi dissi: ‘Mai più’“.
Epocale poi il dialogo con Ibra prima del suo addio con destinazione Barcellona: “il giorno dell’amichevole contro il Chelsea a Pasadena ci salutò. Tormentone da giorni: ‘Ibra va al Barcellona, non va al Barcellona’, lui da superprofessionista quale è giocò 45’, ma poi nello spogliatoio disse: ‘Vado, devo vincere la Champions’. I miei assistenti italiani erano morti – “Senza di lui sarà impossibile vincere” – i compagni non volevano perderlo. Ero preoccupato anche io, ma mi uscì così: ‘Magari tu vai e la vinciamo noi’. Ero stato un po’ pazzo, ma nello spogliatoio cambiò l’atmosfera. Poi dissi a Branca: ‘Se lui vuole andare a Barcellona, cerchiamo di prendere Eto’o’. Lui e Milito tatticamente potevano dare una diversità alla squadra“.
Sull’addio, Mourinho ha svelato: “non sono tornato con la squadra, perché con i tifosi che avrebbero cantato “José resta con noi”, forse non sarei più andato via. Io non avevo già firmato con il Real prima della finale: chi ha detto che qualcuno del Real venne nel nostro hotel prima della finale disse una cazzata. Prima della finale successe solo che scoprii lo scatolone con le maglie celebrative e scappai per non vederle. Io volevo andare al Real: mi voleva già l’anno prima, andai a casa di Moratti a dirglielo e lui mi fermò, “Non andare”. Al Real avevo già detto no quando ero al Chelsea, al Real non puoi dire no tre volte. Oggi forse potrei stare 4-5-6 anni nello stesso club, ma allora volevo essere il primo – e sono ancora l’unico, fra gli allenatori – ad aver vinto il titolo nazionale in Inghilterra, Italia e Spagna. Allora mi dissi: “Sto qui due giorni, firmo il contratto e vado a Milano quando non posso più tornare indietro’“.
Il portoghese poi ha concluso: “avevo deciso dopo la seconda semifinale con il Barcellona, perché sapevo che avrei vinto la Champions. Moratti l’avevo preparato: senza bisogno di parole, la temperatura del nostro abbraccio in campo gli fece capire cosa volevo. Mi disse: ‘Dopo questo, hai il diritto di andare’. Era il diritto di fare quello che volevo, non di essere felice: e infatti sono stato più felice a Milano che a Madrid“.