Uno spiffero che arriva da una finestra chiusa male, quelli che ti prendono alla schiena generando un brivido glaciale. La stessa sensazione provata nel leggere la freddezza delle ultime ore di tutti i giornali sportivi: Maria Sharapova lascia il tennis.
L’annuncio non è commovente, nessuna lacrima è stata versata, almeno davanti alle telecamere. Masha è un’attrice consumata che davanti all’obiettivo recita una lettera scritta di suo pugno in cui ripercorre la sua carriera, praticamente la sua intera vita, passata con la racchetta in mano a setacciare ogni aspetto del mondo attraverso gli spazi dell’incordatura. L’attimo del contatto esatto con la racchetta, il sorriso di una bimba di 4 anni nel gelido inverno di Sochi. I primi colpi, le vittorie, il talento. L’incontro con Martina Navratilova è un’epifania, l’inizio di qualcosa che una bambina delle elementari non può nemmeno immaginare: il volo verso gli USA, senza parlare inglese e senza soldi. Sopratutto senza mamma. Papà a spronarla verso il sogno di diventare una grande tennista, iscritta all’accademia di Bollettieri, l’elite del tennis giovanile.
Masha non ha ancora compiuto 10 anni ma è già grande, lontano da casa e dagli affetti. Sola, con la sua racchetta e il suo talento a farle compagnia. Maria Sharapova capisce ben presto a cosa è destinata. A 17 anni la vittoria di Wimbledon, la tennista più giovane a riuscirci dopo Martina Hingis, le apre le porte del tennis che conta. Educazione siberiana, fredda nel carattere. Dritta per la sua strada, un lupo solitario, senza amiche nel circuito, a dirla tutta, senza averne bisogno. Solo avversarie, da rispettare ma soprattutto da battere.
Wimbledon 2004, US Open 2006, Australian Open 2008, Roland Garros 2012 e 2014 sono le perle della sua carriera che vanta anche un argento Olimpico nel 2012 e le Finals del 2004. La bambina russa che diventa principessa e siede sul trono WTA per 21 settimane, il vento freddo che sferza il dominio delle Williams. Masha trascende il tennis. Diventa icona femminile, sex symbol, imprenditrice: i fotografi amano le sue forme aggraziate e longilinee, i giornali ne celebrano il talento in prima pagina, gli sponsor fanno a gara per averla. Lei concede un sorriso frugale e qualche sguardo penetrante come quello che ha gelato il cuore di Grigor Dimitrov, prima, vera, distrazione dal tennis.
Abituata agli inverni rigidi della Siberia, anche Masha crolla alla prima vera bufera della sua carriera. Nel 2016, in un momento non proprio felice della sua carriera sportiva, un test antidoping la inchioda: è positiva al doping, nel suo sangue scorre Meldonium. Nel momento in cui serve una spalla alla quale appoggiarsi, Maria Sharapova si rende conto di essere sola, come sempre, del resto lo ha voluto lei: solo avversarie, mai amiche. Il circuito le volta le spalle, gli sponsor la scacciano, il tennis la mette da parte come un’appestata. La principessa decaduta si rialza, volteggia fra le critiche velenose delle colleghe e combatte per pulire la sua immagine. Una positività involontaria, ma punita con una lunga squalifica che le permette di staccarsi, forzatamente, dal tennis e godersi la vita e le passioni sviluppate al di là del rettangolo di gioco.
Il ritorno non è facile. La passione non è più quella di un tempo, il fisico mostra i primi acciacchi. Tenere il passo delle più giovani risulta difficile, il suo corpo inizia a dare i primi segnali che qualcosa non funziona. Un infortunio dietro l’altro le impediscono di prendere il ritmo che serve per tornare al posto in cui merita. Oggi la decisione di lasciare il tennis, “l’unica vita che abbia mai conosciuto” ma che non sembra più appartenerle. So Masha, let it go.