Enes Kanter attacca Erdogan e la Turchia dopo i recenti bombardamenti contro i curdi in Siria: il centro di Boston si espone ancora una volta, rischiando in prima persona
Il recente bombardamento della Turchia sulle zone popolate dai curdi in Siria ha destato scalpore, finendo per influenzare anche il mondo dello sport. Se da una parte ci sono stati casi come i calciatori della Turchia che hanno appoggiato il governo di Istanbul, va sottolineato come ci siano stati episodi di dissenso come quelli del cestista NBA Enes Kanter.
Il centro di Boston è sempre stato uno strenuo oppositore del presidente Erdogan, al punto da essere stato giudicato un terrorista a causa delle sue differenti idee politiche. A Kanter è stato ritirato il passaporto e nei suoi confronti è presente un mandato di cattura internazionale, che fortunatamente non ha validità negli USA. Kanter, nonostante tutto, ha ancora una volta fatto sentire la sua voce: “come posso restare in silenzio? Ci sono decine di migliaia di persone in prigione in Turchia, tra cui professori, dottori, giudici, avvocati, giornalisti e attivisti. Sono rinchiusi soltanto perché hanno detto di non essere d’accordo con Erdogan. Centinaia di bambini stanno crescendo all’interno di celle strette e anguste al fianco delle loro madri. Democrazia vuol dire avere il coraggio e la libertà di parlare, non dover essere rinchiusi in galera per questo”.
Il big man turco è poi tornato a parlare delle minacce che gli sono state rivolte la scorsa settimana fuori da una moschea: “andare a pregare in moschea il venerdì non è semplice. Spesso mi ritrovo accerchiato da persone che mi urlano contro “sei un traditore”, come accaduto qualche giorno fa. Erano dei sostenitori di Erdogan e non è stato un incidente isolato nel suo genere. Lo scorso mese infatti alcuni ministri turchi hanno tenuto un incontro pubblico con la comunità presente a New York, in cui hanno spiegato i tentativi di zittirmi e di cancellare gli eventi che sto organizzando negli USA. I ministri hanno iniziato ad aizzare la folla contro di me e uno dei partecipanti ha indicato il nome della moschea che frequento a Boston. Per quello non mi sono sorpreso quando ho trovato quella gente lì ad aspettarmi. Il consolato inoltre continua in tutti i modi a convincere le autorità statunitensi a mettermi un bavaglio, a fermare la mia opera di dissenso. Più cresce la pressione su di me però, più alzo la voce. Le minacce non sono un deterrente per me, stanno sprecando il loro tempo”.
Kanter, consapevole di rischiare la vita, non intende abbassare la voce. Il centro turco ringrazia l’America per la libertà e la protezione concessagli: “sono grato dell’opportunità che mi è stata data di poter vivere negli USA, questa nazione mi ha dato tantissimo, sin da quando sono sbarcato qui da ragazzo. Per questo mi sento in dovere di dover restituire qualcosa alla comunità. Per tutta l’estate ho girato in lungo e in largo: 50 camp di pallacanestro in 30 stati federali, provando a trasmettere messaggi positivi ai ragazzi. Il basket è la mia via di fuga, il posto in cui tutti continuano a essere gentili e riconoscenti nei miei confronti. Devo ringraziare tutti, compresi i politici, i giornalisti, gli attivisti e i tifosi che mi danno forza in questo periodo complicato. Mi spingono ad andare avanti, mi danno una carica in più anche quando scendo in campo. Ho la fortuna di essere sotto i riflettori e di sfruttare questa piattaforma per promuovere i diritti umani, la democrazia e la libertà personale. È una cosa molto più importante del pallacanestro. Essere il portavoce di questi ideali per un turco vuol dire rischiare la prigione e la violenza da parte dei militari. Mi hanno chiamato terrorista, hanno chiesto all’Interpol di arrestarmi. Starei marcendo in galera se fossi tornato in Turchia. Restare lontano dalla mia famiglia è un sacrificio enorme, una sfida complicata da vincere. Ma le cose buone non ti vengono mai regalate, non sono mai semplici da conquistare. Mai”.