Mike Tyson racconta il suo passato nell’inferno di Brooklyn, fatto di crimine, droga e miseria. La boxe gli ha dato una chance per lasciarsi tutto alle spalle, lui l’ha presa al volo… e a pugni
“Mike, vuoi morire lì o batterti per lasciare quell’inferno?“, questa domanda Mike Tyson se l’è fatta spesso nella sua vita. Crescere a Brooklyn, uno dei quartieri più malfamati d’America, non è proprio la più facile delle esperienze per un ragazzo. Un po’ per indole, un po’ per non avere altra scelta, Mike Tyson si è trovato fin da giovane ad avere a che fare con una cruda realtà fatta di fame, criminalità e droga.
Un passato che lo ha segnato, dando inizio alla sua leggenda. Lo spiega ai microfoni della ‘Rosea’: “resto colui che arriva da un quartiere malfamato. Nascere così ti segna. Io ho conosciuto la fame, il crimine, la droga, e tutto questo si è accumulato dentro di me. Mi chiedevo: “Mike, vuoi morire lì o batterti per lasciare quel posto?” Io ho sempre combattuto con determinazione per lasciare quel posto e non morire lì. Sopravvivere a un quartiere cattivo ti fortifica. Ho conosciuto i senzatetto, la fame, il crimine e la droga. Ma mi chiedevo dentro di me: ‘che cosa vuoi fare della tua vita, Mike? Vuoi morire lì dentro o vuoi scappare da quell’inferno?‘ Tutti, sin da quando ero giovane, hanno visto chi ero: un delinquente brutto sporco e insicuro, ma mi ribellai. Dei miei 7 figli, i più grandi potrebbero pensare che papà è un po’ pazzo, se vedono il vecchio Tyson. E quindi continuo talvolta a fare il pazzo. Ma ero giovane, non avevo capito la vita. Ero egocentrico e non pensavo agli altri. Pensavo a me stesso, anziché agli altri. E ora che sono più vecchio, so che non è giusto. Ho dovuto imparare nel modo più duro cos’è la vita”.
Come spesso accade in questi casi, è lo sport l’unica ancora di salvezza. La boxe gli ha dato una chance per lasciarsi tutto alle spalle e vivere una vita fatta di soldi, popolarità e lusso. Tyson l’ha presa al volo e a… pugni. I primi 19 match disputati li ha vinti tutti per ko, 12 dei quali alla prima ripresa. Nel 1986 è diventato il più giovane campione del mondo dei pesi massimi (record tutt’ora imbattuto) strappando la corona WBC a Trevor Berbick. Un anno dopo si è preso i titoli WBA e IBF divenendo il primo campione indiscusso e primo peso massimo a unificare i campionati del mondo. In mezzo una condanna a 6 anni di carcere per stupro e il morso all’orecchio di Foreman, strascichi di quella ‘cattiveria’ che ‘The Baddest Man on the Planet’ si è sempre protato dentro. A fine carriera i match saranno 58: 50 vittorie (44 ko), 6 sconfitte e 2 NC. Se si guarda indietro però, Mike sa che anche la boxe ha avuto il suo prezzo da pagare: “se la boxe mi ha dato più di quanto mi ha tolto? Quando hai a che fare con la boxe, hai a che fare con la morale. Pensi che tutto sia affidabile, onesto, rispettabile, con dei giudici e dei verdetti, ma la boxe è stata sopraffatta dalla corruzione. È successo a me, succede a tutti. Ora non mi sento coinvolto: sto lontano da quel mondo perché non mi piace essere la persona che ero”.
Adesso Tyson è un uomo diverso. La boxe l’ha abbandonata dal 2005, dedicandosi alla famiglia e a diversi business, fra i quali quello della Cannabis, molto in voga negli USA. Tyson vorrebbe conoscere il Papa e magari fargli anche cambiare idea sulle posizioni prese dalla Chiesa in materia di cannabinoidi: “in Italia ci sono già stato diverse volte, anche in Vaticano, ma non ho mai incontrato il Papa. Mi piacerebbe incontrare Francesco: penso sarebbe fantastico perché vedo quanto si batte per migliorare il mondo. E sarebbe una buona occasione per parlare di Cbd (cannabidiolo, ndr) anche con il Papa. Sono nel business della Cannabis ma non ho mai toccato la vera cannabis floreale. Per scopi terapeutici voglio aiutare quelli che soffrono e non hanno possibilità di accedere alle cure mediche. Ho deciso di aprire un ranch in California perché il Cbd è il futuro. Il Cbd è in tutto, è nel caffè, sarà nel nostro cibo, nei cibi per i cani, e ci renderà persone migliori. È quasi come il guacamole. Lo vendono ovunque: è una corsa all’oro quasi come il petrolio”.