Progettare un motore di soli 375cc capace di muovere quattro persone e bagagli, consumare poco, essere facilmente riparabile e affidabile non era certo un progetto semplice da realizzare, Walter becchia ci riuscì
Quando iniziarono i lavori di progettazione per la VGD, la “Voiture a Grand Diffusion”, come si chiamava nelle segrete stanze del Centro Studi la futura DS19, i modelli dovevano essere due: uno più economico, da equipaggiare con un motore a 4 cilindri ed un altro più potente e sportivo, che avrebbe dovuto montare un inedito motore a sei cilindri i cui disegni si accumulavano sul tavolo dell’italiano Walter Becchia.
Becchia veniva dalla Talbot-Lago, dove aveva progettato motori ad alte prestazioni, arrivando nella casa francese gli fu chiesto, come primo incarico, di motorizzare la 2CV!
La cosa può sembrare normale, ma progettare un motore di soli 375cc capace di muovere una vettura con quattro persone e i bagagli, consumare tre litri di benzina per cento chilometri, essere facilmente riparabile e durare centinaia di migliaia di chilometri non era certo un progetto semplice da realizzare!
Il progettista italiano soddisfò al 100% le difficili richieste di André Lefebvre, l’ingegnere capo, “papà” della Traction Avant, della 2CV e della DS, e fu quindi naturale che anche per la nuova grande vettura, il compito di disegnare un motore all’altezza dell’eccezionale autotelaio venisse affidato a Walter Becchia.
A causa della linea filante della nuova ammiraglia, per ridurre l’ingombro verticale del motore previsto inizialmente a sbalzo rispetto all’avantreno, Becchia optò per un motore a sei cilindri orizzontali, tipo boxer, raffreddato ad aria, soluzione che aveva scelto anche per la 2CV perché permetteva una sostanziale riduzione delle vibrazioni, solo che per la futura DS i cilindri erano sei!
Il motore in lega d’alluminio fu pronto per la seconda metà degli anni ’40 ma palesò immediatamente problemi di raffreddamento degli ultimi due cilindri. A nulla servirono condotti speciali, con paratie azionate automaticamente da termostati. Non andò meglio con il raffreddamento ad acqua perché il problema era evidentemente legato alla costruzione stessa del motore ed il progetto fu accantonato.
Così la DS19 debuttò nel 1955 con una versione (molto) aggiornata del vecchio 1911cc a 4 cilindri della Traction Avant, con una moderna testata in lega leggera con camere emisferiche e valvole a V (progettata da Becchia) ma con soli 75 cavalli di potenza, comunque sufficienti a raggiungere la velocità di progetto fissata in 140km/h.
Va detto che André Lefebvre, con un passato da pilota e progettista di aerei ed auto da corsa, sosteneva che “ormai il motore è una sorta di macinacaffé: stessa monotonia, deve consumare poco e durare molto” e sicuramente il motore della DS raggiungeva entrambi questi obiettivi, percorrendo sempre più di 10km con un litro, senza richiedere revisioni se non dopo percorrenze nell’ordine del mezzo milione di chilometri, e si hanno notizie di molte DS che ne hanno fatti almeno il doppio.
Ma se questo andava bene nel 1955, cinque anni dopo il panorama automobilistico era cambiato e occorrevano prodotti nuovi. Così all’inizio degli anni ’60, scomparso André Lefebvre e con un Centro Studi quasi totalmente rinnovato, fu avviato il Progetto S, come Sport, destinato alla creazione di una versione sportiva della DS e che presto avrebbe portato alla nascita di qualcosa di completamente nuovo: una coupé che dieci anni dopo si chiamerà SM!