Zlatan Ibrahimovic ha raccontato un particolare retroscena in merito al suo periodo passato alla Juventus: lo svedese strigliato a più riprese da Capello che gli fece capire una lezione importante sulla sua permanenza in bianconero
Zlatan Ibrahimovic non è certamente la persona più umile del mondo. La sua storia, personale e calcistica, è piena di dichiarazioni ad effetto, gesti eclatanti ed episodi che, se non fossi abituati al suo personaggio, lo farebbero apparire davvero, ma davvero, antipatico. Ma Ibrahimovic è questo, genio e sfrontatezza, talento calcistico e spocchia: prendere o lasciare. Prendono tutti. Intervistato ai microfoni della BBC, lo stesso bomber svedese ha però svelato un momento della sua carriera in cui ha ricevuto un’importante lezione di umiltà. Ibra indossava la maglia della Juventus, sotto la guida del sergente Fabio Capello, uno che ad urlargli contro non si faceva di certo problemi. “Ibra! Ibra!”, Zlatan lo sentiva gridare sempre il suo nome alla fine di ogni allenamento e sapeva che era costretto a fare del lavoro extra per guadagnarsi il posto nella squadra bianconera: “dal primo giorno di allenamento alla Juve ho sentito Capello gridare ‘Ibra’. Prendeva i ragazzi delle giovanili e li faceva allenare con me: loro crossavano, io dovevo fare gol. Ogni giorno per 30 minuti. Io volevo solo andare a casa perché ero stanco e non volevo più tirare, né vedere la porta e i portieri. Sentivo sempre quell’urlo ‘Ibra’ e sapevo cosa significasse. Tiravo, tiravo. Alla Juve mi hanno fatto capire ‘qui siamo ad alti livelli, sei un attaccante, quindi devi darci gol. Se non li fai, non abbiamo bisogno di te’. Tutto era nuovo per me: grande squadra, grandi giocatori, grande allenatore, grande storia“.