Chris Froome si racconta in una lunga intervista: il keniano bianco ripercorre l’emozione della vittoria del Giro d’Italia 2018 e parla della sua vita da uomo normale
“Al Tour una volta ho vinto attaccando in discesa, un’altra in pianura con Sagan. Non sono uno che attacca solo negli ultimi chilometri di salita. Al Giro dovevo rischiare il tutto per tutto, 4° o 11° non cambiava nulla. Nella mia testa sentivo che ero pronto a dare tutto, fino al limite dell’impossibile. Sulla strada tutto è andato alla perfezione e gli avversari hanno anche fatto errori. Tecnicamente e tatticamente, è stato il giorno più bello della carriera. Sul Finestre ho fatto la mia migliore performance sportiva”. Così Chris Froome racconta a Gianni Bugno per Gazzetta dello Sport il Giro d’Italia 2018, in cui ha trionfato alzando al cielo il Trofeo Senza Fine.
Sul suo ritiro poi il keniano bianco ammette: “sono convinto di potere resistere per altri cinque anni. Quindi fino a 38 anni. Ma dovrò essere al top della forma”. “Non ho ancora deciso, bisogna sedersi con la squadra e ragionare. Il Giro è una corsa molto spettacolare, il Tour è il miglior modo per misurare il tuo valore come corridore. – ha spiegato il corridore del Team Sky parlando della scelta da prendere per disputare una tra Grande Boucle e Corsa Rosa – Non nascondo che i cinque successi sono un obiettivo. Voglio entrare in quel club speciale con Anquetil, Hinault, Indurain e Merckx.
Sulla quotidianità della sua vita una volta smessi i panni da ciclista, Froome racconta: “un uomo normale. Cambio i pannolini a mio figlio, mi sveglio di notte. Se sono spalle al muro, cucino. Lo so fare, ma non mi piace… Non sopporto il ritmo lento necessario per farlo. Gioco con i figli, come attività alternativa mi piace la bici gravel, soprattutto in Africa vado fuoristrada. Oppure il running, correre a piedi ogni due o tre giorni, per restare in forma, per divertimento. Adoro l’acqua. E quindi tutti gli sport acquatici: la pesca, le immersioni, ho la licenza per immergermi in acque aperte fino a 30-50 metri. Ma la maggior parte del tempo la trascorro pensando e studiando come migliorare il mio rendimento. Ci metto una passione totale per capire ogni minimo dettaglio”.
Sui prossimi obiettivi oltre ai grandi giri, Froome confessa di stare pensando alle Classiche. “Ho sentito di una nuova corsa con arrivo sul Ventoux. – precisa – Attira la mia attenzione. Certo, mi piacciono i Monumenti, se la Liegi capitasse in un periodo diverso potrei anche farci un pensierino, ma devo accettare che la mia strada sia quella delle corse a tappe. Non è questione fisica o di doti atletiche, quanto di preparazione. Non cambio ora, magari lo farò per l’Olimpiade di Tokyo 2020″.
Sulle disponibilità economiche del team Sky, poi Froome ha chiosato: “quando Sky ha iniziato, nel 2010, aveva la metà del budget attuale. Poi è incrementato grazie ai successi, che sono stati una specie di volano. Certo, quando il progetto ha preso il via, i soldi dello Stato hanno permesso di fare un reclutamento molto ampio, uno screening enorme e preciso. Italia, Francia, Spagna, c’era tanta tradizione nel ciclismo quando Sky è entrata. Noi abbiamo portato un approccio moderno, fresco, senza il peso della tradizione, senza farsi influenzare dal passato. Prendete Geraint Thomas: era un ragazzino, i tecnici sono andati nella sua scuola, hanno fatto i test, gli hanno fatto vedere un’opportunità nello sport. E, come lui, centinaia di altri atleti. I soldi? Non è detto che entri nel ciclismo con 50 milioni e vinci subito”.
Sulla strada che avrebbe intrapreso se non avesse fatto il ciclista, Froome poi ha svelato: “ho un grande amore per gli animali e per la natura. Per la conservazione, per la sua difesa. Se non avessi fatto il ciclista, mi sarei occupato di quello. Salvare i rinoceronti dall’estinzione, per esempio: sulla mia bici avevo anche la loro immagine. Oppure l’esaurimento delle risorse naturali: una questione importante che non viene presa abbastanza sul serio. E’ questo che mi preoccupa per il futuro”.