Il pilota della Toro Rosso si è concentrato sulla prossima stagione, elargendo anche consigli a Fernando Alonso che parteciperà alla 24 Ore di Le Mans
La prossima stagione sarà quella della consacrazione, il momento giusto per dimostrare di essere da Formula 1. Brendon Hartley si è preso la Toro Roso nel giro di pochi mesi, debuttando nel finale del 2017 e guadagnandosi un sedile anche per il 2018. Un traguardo importante per un pilota di 28:
“Ho realizzato un sogno. Ho una grande opportunità e nelle ultime gare del 2017 ho dimostrato di meritarmela. Devo sottolineare che Red Bull mi ha consentito di arrivare a correre in Europa quando avevo solo 16 anni e nel 2009 ero vicinissimo a debuttare in F.1. Ma venni sopraffatto dalla pressione, non riuscii ad andar forte. Fu un colpo duro e ci volle un po’ per riprendersi. Però non ho mai interrotto la relazione con la Red Bull, in particolare con Helmut Marko. Hanno continuato a sostenermi economicamente nella mia carriera con la Porsche, avevo il loro marchio su tuta e casco. E così, quando i tedeschi hanno detto stop al programma Wec, è stato naturale offrirmi a chi mi aveva sponsorizzato. Pensavo però a un ruolo di test driver. Invece la Toro Rosso mi ha gettato nella mischia ad Austin, senza che conoscessi bene la macchina e avessi la benché minima preparazione. Avevo lavorato un po’ al simulatore. La Red Bull ha creduto in me e di questo sono grato”.
Fernando Alonso parteciperà a breve alla 24 Ore di Le Mans, una competizione che Hartley ha già avuto l’onore di vincere. Per questo motivo il neozelandese regala qualche piccolo consiglio al collega spagnolo:
“E’ la gara più emozionante che abbia mai disputato. E quando sali sul podio, ti senti davvero sulla luna con tutta quella folla lì sotto. Però lo stress è massimo perché tutto è concentrato in 24 Ore. Basta un piccolo errore per gettare al vento il lavoro di un anno. Se poi sei a Le Mans e difendi i colori della Porsche… Ma Alonso, se ci andrà, si divertirà. La Formula 1 è individualista. I piloti si scambiano i dati ma solo quelli essenziali, nel Wec il lavoro di gruppo è fondamentale, ci sono tre teste pensanti, bisogna scendere a compromessi. Mark Webber e Timo Bernhard, da questo punto di vista, sono stati compagni di squadra eccezionali”.