MotoGp, papà Dovizioso racconta Andrea: “è veloce e intelligente, a 7 anni mi diceva quale miscela usare…”

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Un viaggio nel mondo di Andrea Dovizioso, un racconto pieno di storie e di aneddoti raccontati da papà Antonio, primo tifoso di suo figlio

Ci sarebbero tanti aneddoti da raccontare, ma Antonio Dovizioso parte subito mettendo le cose in chiaro, sottolineando come lui, di moto, qualcosa ne capisce: “il problema della maggior parte dei papà dei piloti, è che non sono mai andati in moto. Nel 90% dei casi diventano il più difficile avversario del figlio. Io ho 63 anni e faccio cross da 37, ma solo perché ho cominciato tardi, quando sarebbe stata ora di smettere”. Meglio parlare subito con chiarezza per poi tuffarsi nel mondo di Andrea, svelando quei segreti che, oggi, lo hanno portato a guidare il Mondiale di MotoGp.

LaPresse/Alessandro La Rocca

“Mio padre — attacca Dovi senior ai microfoni della Gazzetta dello Sportera carabiniere a Calascibetta, provincia di Enna. Dalla Sicilia è dovuto scappare per motivi che nemmeno so. Ci siamo stabiliti in Romagna, avevo tre anni. Sono l’ottavo di undici fratelli, la pecora nera. Papà però mi diceva sempre che avrei fatto strada. Ha avuto ragione: ne ho fatta parecchia. Come autista di mio figlio. A due anni e mezzo sul triciclo andava a tutta in derapata nel capannone dove lavoravamo. Non urtava mai, non cadeva. A tre anni e mezzo aveva il Teneré elettrico: ‘Papàmi ha detto — voglio una moto che faccia rumore come la tua’. Io gli risposi: ‘Ma devi imparare ad andare in bici senza rotelle’, e lui: ‘Allora toglimele’. L’ho fatto, e lui è partito subito. Il giorno dopo aveva la moto. E’ stato un quarto d’ora a guardarla in silenzio. Per un bel po’ ha fatto sia minimoto che minicross e anche calcio. Poi, a 14 anni, ha scelto la velocità. Non l’ho mai contraddetto”.

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Un casinista, il papà, e un professionista, il figlio, così diversi ma così simili: “lui è un professionista, io sono un casinista. Però senza il mio casino lui non sarebbe mai arrivato dov’è ora. Io e la mamma di Andrea (i due sono separati, n.d.r.) avevamo una azienda di poltrone e divani. Fornivamo due marchi più grandi che a inizio anni ‘90 sono falliti, tutti e due. Ci siamo trovati senza una lira, anzi coi debiti. Con la famiglia, l’azienda, un ragazzino che cominciava a correre e il mio motocross. Non abbiamo rinunciato a niente. Come dico sempre la nostra fortuna è stata avere quei problemi. Sennò avremmo fatto gli errori che commettono tanti. Avremmo cercato sempre il meglio e avremmo sempre trovato scuse, sarebbe sempre stata colpa della moto, dei meccanici, delle gomme. Così invece abbiamo fatto con quel che avevamo. Io mi sono improvvisato meccanico, la moto valeva il 70% di quella degli altri, tanto il 30% che mancava lo metteva Andrea. Che poi mi dava anche indicazioni: sulla miscela, su come regolare il cambio, su tutto. Aveva 7 anni“.

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Papà Dovizioso poi non nasconde le altre qualità di Andrea: “ha un cuore d’oro. Non dimentica chi lo ha aiutato. Da ragazzino ha corso con le minimoto della GRC. Ci hanno dato una bella mano. Beh, lui 16 anni dopo ha comprato una Ducati e l’ha spedita al titolare. Per riconoscenza. E’ testone come me. Dirà di no, ma lo è. Quando gli davo consigli si incazzava, ma non abbiamo mai veramente litigato. E comunque i miei consigli li ha sempre seguiti. Come quando, in 125, abbiamo cominciato con una Honda privata e non con la Aprilia ufficiale. Per molti una scelta strana, io sono convinto sia stata decisiva. L’anno in cui pianti una vigna non bevi il suo vino. Andrea forse ha raccolto meno di quel che sarebbe stato nei suoi mezzi. Forse è meno personaggio di quel che avrebbe potuto. La gente spesso non lo nota. Ma da anni è tra i primi 5 al mondo. Ha sviluppato la Honda per Stoner, ha fatto podi con una Yamaha privata, ha impiegato tempo a portare questa Ducati dov’è ora. Sempre senza prendersi rischi inutili, è uno dei piloti della sua generazione con meno infortuni: secondo me è un segno di intelligenza.

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Adesso ha la Ducati con cui può fare le cose come ha sempre desiderato. E infatti accetta anche il combattimento, come a Zeltweg. Ma l’emozione più grande me l’ha data al Mugello. Per qualcuno è cambiato, ma non è vero: ha solo avuto bisogno di mettere tutto a posto come voleva. Ecco perché lo vedete così tranquillo in testa alla classifica. Perché lo è davvero. Lo siamo tutti e due“.

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