I mondiali di scacchi e quell’assurda pretesa dell’Iran di non far giocare le donne a capo scoperto
Immaginate di essere una campionessa di scacchi. Immaginate di essere una campionessa tosta, di quelle davvero brave. Di quelle campionesse di scacchi che ambìscono a vincere dei titoli, dei campionati, dei tornei importanti. Immaginate adesso che ci sia l’annuncio ufficiale di dove si disputeranno i prossimi mondiali femminili di scacchi: Teheran. E che subito dopo arrivi la notizia che il Paese ospitante, leggi Iran, non consentirà né a te, né ad alcuna delle altre scacchiste, di giocare a capo scoperto, per non permettere l’autorizzazione di un pericoloso precedente che legittimi una serie di deroghe alla imperante regola vigente, senza eccezioni, in Iran, da 37 anni.
Voi, in tutta onestà, cosa fareste? Accettereste di coprirvi il capo, ubbidendo alle leggi in vigore nel paese ospitante il torneo mondiale, o mandereste tutti a quel paese, difendendo il vostro diritto alla libertà e alla democrazia? Vi chiedereste, forse: “perché il mio paese accetta chiunque senza imporre di togliere o mettere il velo, mentre io dovrei subire in silenzio una forzatura che investe direttamente il mio modo di pensare, agire, vivere?” Quello che avete letto sin qui non è fantascienza. E la decisione da prendere, come sopra descritta, riguarda Nazí Nodarovna Paikidze-Barnes, pluridecorata campionessa di scacchi, che non ha nessunissima voglia di accettare imposizioni da chi, quando si trova in un paese straniero, non accetta né ammette imposizioni di sorta.
Sono cose che fanno ribollire il sangue. Sono cose di cui non si dovrebbe nemmeno discutere. E invece, purtroppo, eccoci qui a parlare di obblighi imposti da “religioni” di cui in Occidente ci siamo, fortunatamente, liberati subito dopo il MedioEvo. Le streghe, noi, non le bruciamo più. Che qualcuno si svegli. Scacchista o non.