Quando il calcio era poesia, sport e momento di comunione e i calciatori erano come gladiatori al Colosseo
Eppure c’è stato. C’è stato, e qualcuno se lo ricorderà. Forse, con un briciolo di nostalgia. C’è stato un tempo, in cui di calcio, alla tivù, se ne vedeva davvero poco. Si parla di “un tempo”, democraticamente trasmesso sulla rete nazionale. Un solo tempo, 45 minuti. La domenica, verso sera, poco prima dell’ora di cena. Nel caso si trattasse di un primo tempo, il commentatore informava, al termine della visione dei primi 45 minuti, sull’esito finale e sulle azioni salienti del “non visibile” secondo tempo.
Altro che tutte le partite. Altro che la Liga. Altro che la Premier League. Sembra un secolo fa, erano gli anni 70. C’è stato un tempo in cui nessun operatore del mondo calcistico parlava di 4-2-3-2-2-1-3-4-2, sembra incredibile, ma è la verità: i termini più usati erano “catenaccio” e “palla lunga e pedalare”. C’è stato un tempo in cui la borghesia sedeva sugli spalti, pagando il biglietto per assistere a un momento di “divertimento”, c’è stato un momento in cui i calciatori erano come i gladiatori al Colosseo: esseri umani dedicati a far divertire le folle; un passatempo, insomma. C’è stato un tempo in cui non c’erano veline presenti allo stadio e nemmeno Wande Nara. C’è stato un tempo in cui il calcio era poesia, sport, momento di comunione. C’è stato.