Ancelotti celebra Berlusconi alla vigilia dei suoi 80 anni e svela alcuni particolari inediti del suo rapporto con il Presidente del Milan
Ancelotti racconta Berlusconi –“La scelta di cedere il club che ha amato come un figlio deve essergli costata un’autentica sofferenza. Ma poiché l’uomo ci ha abituato, nella sua vita, a porsi sempre nuovi traguardi, sono sicuro che starà già pensando al giorno in cui tornerà a occuparsi del Milan e a inseguire altri successi per i prossimi trent’anni. È il mio augurio da tifoso del Milan”. Un tifoso decisamente speciale, Carlo Ancelotti. Oggi sulla panchina del Bayern sì, ma cuore rossonero dichiarato.
Ancelotti racconta Berlusconi –L’ex allenatore del Milan celebra Silvio Berlusconi che domani compirà 80 anni e lo fa con alcuni ricordi speciali: “il primo incontro con il presidente? Quasi uno scontro, in verità, avvenuto al telefono, qualche minuto dopo la firma del mio trasferimento dalla Roma al Milan. C’erano voci sempre più insistenti sul mio stato di salute, un ginocchio malandato insomma. Berlusconi a bruciapelo mi chiese: ‘Ma sei sicuro di stare bene?’. Gli risposi: ‘Certo che sono sicuro e se ne accorgerà molto presto. Da quel giorno è stato una scoperta continua. Ogni giorno una sorpresa e una nuova idea da realizzare, ogni giorno un nuovo traguardo da inseguire. In cambio della dedizione assoluta alla causa rossonera, c’era anche una generosità unica. Pensi che a casa mia il presidente era per i miei due figli lo zio Silvio. Sa perché? Perché, appena firmavo il nuovo contratto o incassavo un premio per una coppa vinta, tornavo con dei pacchi regali. E loro, i miei bambini, chiedevano: da chi arrivano questi doni? Dallo zio Silvio rispondevo io”.
Ancelotti racconta Berlusconi – Nel corso di una lunga intervista a ‘Il Giornale’, Ancelotti parla del rapporto con Berlusconi durante i suoi sette anni al Milan: “Il nostro rapporto non cambiò, fui circondato in ogni momento dei successivi 8 strepitosi anni, dal suo affetto oltre che dal suo incoraggiamento. Mai Berlusconi criticò il mio lavoro dopo una sconfitta, sempre, invece, dopo un successo, mi passava osservazioni per migliorare il gioco che mi facevano riflettere. Il diktat delle due punte? Lo ricordo perfettamente. E io me la cavai con una furbata perché continuai in molte partite a giocare col famoso ‘alberello’ di Natale, Shevchenko più Kakà e Rui Costa, con un piccolo trucco. Kakà, nell’elenco dei convocati, risultava sempre tra gli attaccanti. I miei appunti sui calci di punizione finiti nel libro di Vespa? A poche ore da una finale, chiesi al presidente di assistere alla riunione tecnica con la squadra. E quando fu il momento di distribuire i foglietti con i disegni, li passai anche a lui. Alla fine del meeting gli chiesi: ‘Presidente, come sono andato?’. E lui: ‘Promosso’”.