Olimpiadi, le più belle storie dei successi italiani: la vittoria della medaglia d’oro di Livio Berruti nei 200 metri a Roma
Le immagini sono in bianco e nero. Bianco come il marmo degli stadi che ospitano
i giochi, nero come gli occhiali di Livio Berruti. Un paio di occhiali scuri, indossati correndo, per entrare direttamente nella memoria collettiva dell’Italia del boom economico e in quella che verrà, fatta di targhe alterne e strategia della tensione.
Livio Berruti, nel momento della vittoria, all’Olimpiade di Roma, nel 1960, lo conoscono in pochi. Assomiglia, un poco, a un cantante di nome Gino e cognome Paoli. È schivo, radente, silente: come un missile. Forse, Livio Berruti, è proprio questo: un missile. E se ne accorgono in tanti, quel giorno, quando corre i 200 metri piani, e vince, solo, italiano, portando i suoi neri occhiali davanti a tutti, sul filo di lana; profeta in patria. Al BelPaese sembra incredibile che un compatriota sia riuscito a vincere sulla distanza dei 200 metri davanti ad atleti come gli americani, considerati all’epoca, per varie ragioni, imbattibili. E invece. E invece Berruti, in quel giorno di sole romano, fissa personalmente, con lunghi chiodi, i suoi blocchi di partenza nella rossa terra della pista, saluta le nere frecce americane, che ricambiano Livio con sufficienza e arroganza, si toglie la tuta recante a caratteri cubitali la scritta ITALIA, si piega davanti al numero 5, il suo binario di corsa, cercando concentrazione e partenza esplosiva, e allo sparo dei giudici, scatta. In testa. E in testa, praticamente, ci rimane fino alla fine. Fino alla fine di quei 200 lunghissimi metri. Sorprendendo tutti. Berruti non permette a nessuno di avvicinarglisi. Esce dalla veloce curva già davanti al gruppetto di atleti. E proprio quando tutti gli spettatori si aspettano il ritorno degli americani, sul rettilineo, ecco invece che l’italiano Livio si distende, serafico, sereno, saettante: e trionfa, con distacco. Un attimo dopo avere tagliato la linea del traguardo, cade a terra. Troppo veloce. Troppa emozione. Troppo tutto. I 3 americani si abbracciano, sconsolati, desolati, battuti. Stracciati dal numero 596, un italiano smilzo, che quando corre indossa occhiali da sole: il suo nome è Livio, Livio Berruti, nato a Torino il 19 maggio del 1939, alto unmetroeottanta per sessantasei chili, uno che a 21 anni vince a Roma col tempo di 20e5, e per questa vittoria alle Olimpiadi di Roma, ottiene in premio dal CONI una bella 500. È il sogno di un’Italia intera: battere gli americani in velocità.
E Livio ce la fa. Con lui, il tricolore è in festa. Mameli risuona. Il podio è azzurro.
In quel magico 1960, durante quelle Olimpiadi che lo videro trionfare, Livio trovò anche l’amore: Wilma Rudolph, atleta americana del Tennessee, bellissima e stilosissima ragazza di colore. Peccato che l’amore fra i 2 non ebbe il tempo di essere consumato. Berruti, con il suo amore per Wilma, saltò, forse, una corsia di troppo. Qualcuno, nell’ambiente, gli fece notare che quella ragazza interessava parecchio a un atleta americano, un pugile, uno che avrebbe vinto, anche lui, la medaglia d’oro a quei giochi. Il suo nome era Cassius Clay.