Olimpiadi, le storie dei più bei trionfi italiani: il successo di Pietro Mennea nei 200 metri a Mosca 1980
Pietruzzo lo sapeva, se lo sentiva, ce l’aveva dentro. L’anno prima, alle Universiadi di Città del Messico, aveva corso i 200 in 19 e settantadue, record che divenne poi storia dell’atletica per ben 17 anni, mica robetta per sciacquette.
E adesso era a Mosca, alle Olimpiadi, ai nastri di partenza della finale. Correva l’anno 1980, e correva Pietruzzo, in ottava corsia, quella destinata alle lepri, a quegli atleti che “tirano la volata” ai grandi campioni, e che non hanno nessunissima possibilità di vincere, tagliando per primi quell’agognato filo di lana che segnala l’arrivo, la mèta ultima di tanti sforzi e infinite fatiche. Chissà perché a Pietruzzo nostro era toccata proprio l’ottava corsia? Eppure era tra i favoriti, se non “IL” favorito, visto il record ben saldo nelle sue potenti gambe. “Poco dopo le otto di sera del 28 luglio 1980, con una temperatura di 23 gradi, l’umidità del 56 per cento, il vento zero, mi presentai alla finale dei 200 metri (scrive Mennea nel suo libro “L’Oro di Mosca”). I miei rivali erano i cubani Silvio Leonard e Osvaldo Lara, i polacchi Woronin e Dunecki, il tedesco orientale Hoff, il giamaicano Quarrie e il britannico Wells. A me toccò l’ottava corsia cioè l’ultima, a Wells la settima…”.
Pietruzzo se ne fregò, del numero di corsia. Sapeva che quella era un’Olimpiade da non mancare. C’era stata l’invasione dell’Afghanistan da parte dei Russi, e la conseguente rinuncia ai Giochi da parte di ben 65 nazioni. Roba di politica, per i politici. Pietruzzo non aveva tempo per certe inutili distrazioni. I suoi occhi, la sua mascella, i suoi garretti: tutto di lui era concentrato e affilato, pronto per la vittoria. Pietruzzo lo sapeva. E così fu. Nonostante quella partenza che fece disperare l’Italia intera, nonostante quel 6° posto a circa metà gara, dietro a tutti, o quasi. Fu a quel punto che si realizzò il miracolo. Fu in 20 metri che Pietruzzo “ascese”, correndo come se non toccasse terra, viaggiando a velocità doppia rispetto agli avversari, spremendo il suo corpo come era abituato a fare con la sua mente, risalendo posizioni come un salmone indemoniato, demolendo le convinzioni di chi pensava di averlo già battuto, tagliando il traguardo col petto in fuori, gli occhi sbarrati, le mani nervosamente tese al cielo. Finalmente. Oro.
La Freccia del Sud si era fatta vento, a Mosca, regalando un successo indimenticabile, indimenticato. Pietro Mennea, quel giorno del 1980 a Mosca, era diventato, per sempre, il cuore più veloce del mondo.
“Posso affermare che l’oro olimpico di Mosca è stato un traguardo desiderato e voluto con grande forza, e quel 28 luglio 1980 alle ore 20.10, ho coronato il mio sogno da sportivo, con rabbia e determinazione”
Grande Pietruzzo.
E Grazie!