Olimpiadi, le storie dei successi d’Italia: Jury Chechi e la medaglia d’oro nella ginnastica ad Atlanta 1996
Partiamo dal nome: Jury Dimitri Chechi. Che, forse, quel Chechi era originariamente scritto con delle kappa e delle ypsilon pure quello. Jury Dimitri Chechi: il Signore degli Anelli. E chi, se non lui, potrebbe fregiarsi di cotanto soprannome? Nessuno al mondo; nemmeno oggi. Dopo il nome&cognome, ecco la città: Atlanta. La città della CocaCola, della CNN, e delle Olimpiadi del 1996. Ed eccoci al punto. Siamo a cavallo della notte che porta il giorno 28 di luglio a diventare il 29; e l’anno è il 1996. Si stava per svolgere la finale della gara agli anelli. E gli occhi di tutti, in queste ore, erano puntati, dritti, fissi, verso due cerchi, sollevati da terra, e appesi a due corde che sembravano essere agganciate al cielo, direttamente. Finale olimpica. Jury partiva
fra i favoriti. Dalla sua aveva 6 titoli italiani, 4 titoli europei, cinque titoli mondiali.
Ma un conto è essere favoriti, un altro conto è vincere. Anche perché spesso, la tensione del “favorito” gioca brutti scherzi. Così non fu per Juri “Gagarin” Chechi, quella notte ad Atlanta. Chechi diede vita a quello che in molti hanno definito “l’esercizio perfetto”, a discapito di quel voto (9,8887) iscritto per sempre nella storia da giudici che non ebbero il coraggio di riconoscergli la dote della perfezione, anche se per una sola sera. Quello di Atlanta, fu “l’esercizio” di Jury, quello che lo consacrò alla storia come “il signore degli anelli”. Fu una sorta di volo statico quello a cui ebbe la fortuna di assistere il pubblico. Una specie di volo in cui le posizioni prevedevano qualcosa di impossibile per un volo: lo stallo. Jury unì slancio, potenza, forza; e creò una serie di “immobilità” che all’uomo della strada parevano disumane, perché disconoscevano ogni legge sino ad allora scritta sulla gravità.
Chechi disegnava, di volta in volta, sospeso, col proprio corpo, nel vuoto più assoluto, delle lettere:
delle elle, delle i, delle t, delle y, delle linee di sospensione, dei punti esclamativi, irraggiungibili. Ancora oggi, chi ha visto e vissuto quel momento, ha impressi negli occhi non solo gli esercizi e la tensione, ma soprattutto la concentrazione dell’atleta Jury Dimitri Chechi. Il suo sguardo, galleggiante a mezz’aria, fendeva l’orizzonte con una carica tale di desiderio da non poter far pensare ad altro che alla vittoria, alla medaglia d’oro. E così fu, in quella magica e irripetibile notte di Atlanta, Georgia, USA.
Quella notte Jury Dimitri Chechi volò, come fece, a suo tempo, l’idolo paterno Gagarin.
E lo fece in terra americana.
Oh, Dimitri, what a wonderful fly!