Atleti e maestri: “quando è il momento di uccidere il proprio maestro?”
Le recenti vicende che hanno visti protagonisti Arianna Errigo e Giulio Tomassini, Marco Bonitta e Valentina Diouf o, ancora, Alex Schwazer e Sandro Donati, riportano drammaticamente all’attualità un antichissimo dilemma, che getta le sue lunghe ombre sulla vita di tutti i giorni, pur partendo da un chiaro e preciso punto di domanda: “quando è il momento di uccidere il proprio maestro?” Arianna e Giulio sono proprio l’esempio classico dell’atleta e del suo maestro: caratteri forti entrambi, lei lascia lui perché ritiene che il maestro debba avere una sola allieva, lui le dice chiaramente che “si è montata la testa”, il risultato è l’insuccesso sotto gli occhi di tutti.
Anche fra Bonitta e Diouf si trattò di un rapporto conflittuale esploso infine a colpi di sms dati e ricevuti; anche in questo caso l’insuccesso è stato il risultato dello scontro avvenuto fra allenatore-maestro e allieva pallavolista. Nel terzo caso, ancora più lampante e tragico, un atleta dopato, Alex, sceglie un aiuto-maestro-allenatore, Sandro Donati, per ritornare a gareggiare pulito, e perde la sua occasione di riscatto, l’Olimpiade, proprio, forse, a causa del suo allenatore, simbolo da sempre della lotta al doping. Viene da pensare, da riflettere, da rimuginare sui vari senni del poi, analizzando a mente fredda questi 3 rapporti allievo-maestro. Occorre tornare alla radice del discorso, alla base del rapporto, all’inizio: “quando un allievo è pronto, deve uccidere “metaforicamente” il suo maestro, per riuscire a dare vita e respiro al maestro che è diventato”.