Tappa celebrativa che rende grande il nostro Fabio Aru: la prima vittoria in una grande Corsa a tappe è realtà
Per le strade di Madrid Fabio Aru ha sfoggiato con fierezza la sua maglia roja, quella maglia accarezzata e indossata, persa, desiderata e finalmente nella tappa di ieri fatta nuovamente propria. Ha sofferto Fabio, perché quando hai 3” di distacco da un corridore in forma ma non certo il prototipo dello scalatore, con una squadra che per giunta non può proteggerlo nelle salite, ma che rimane lì attaccato con le unghie e con i denti a quei pochi secondi e non molla, ti sembra che il sogno non si realizzerà, che resterà vicino ma non riuscirai a renderlo realtà. Invece Fabio ha sofferto, la lottato, ha provato a fare tutto da solo quando la sua squadra ha attuato tattiche strane e discutibili ma, siccome il ciclismo è anche sport di squadra, non appena ha avuto il giusto e meritato apporto dell’Astana, è riuscito a staccare Dumoulin, avversario in questa Vuelta di un valore assoluto. Povero olandese, il nostro cuore si è intristito non appena lo abbiamo visto non solo perdere il primato ma addirittura il podio: lo avrebbe meritato ma anche i due che hanno accompagnato Aru alla fine, Purito Rodriguez e Majka, sono stati degni avversari e insidie pericolose, con lo spagnolo in formissima sulle asperità ma in deciso affanno nelle prove contro il tempo.
La vittoria di Aru è la vittoria di un’Italia che si riscopre unita a tifare Vinci e Pennetta, che va a canestro con la sua nazionale di basket, che dimentica che esiste solo il calcio e le polemiche alla Nibali: lo sport, il ciclismo, sono Fabio Aru, ragazzo di 25 anni con il volto provato dagli allenamenti e dai km infiniti, faccia pulita con valori sani nel petto, dedito al lavoro, perché se la bici è una grande passione lui è riuscito a trasformarla nel suo lavoro.
Ha il viso simpatico sul podio Aru, mentre vorrebbe dedicare il suo successo a tutti, alla fedele compagna, ai genitori che tanti sacrifici hanno fatto, all’Italia e ai suoi tifosi e perchè no, alla sua bici.
L’ultima tappa, l’ultimo tentativo di portare a casa un successo per i velocisti, si è sviluppata per poco più di 95 km da Alcalà de Henares fino a Plaza de Cibeles, piazza simbolo e ideale per le premiazioni, per una delle tappe più brevi di sempre in un grande Giro (crono escluse): tempo per brindare in gruppo per le foto simpatiche di rito e poi giù nel circuito della capitale spagnola. Prima parte di frazione con andatura soporifera, una volta giunti in centro città le squadre per i velocisti si impegnano un po’ di più. Ma non più di tanto: dopo 1h il gruppo compatto ha percorso a malapena 30 km, con un’andatura di 27 km/h. Superfluo dire che i velocisti rimasti come Degenkolb, il nostro Sbaragli o Van Poppel sperino nell’arrivo in volata.
A un traguardo intermedio c’è una volata importante: Alejandro Valverde sprinta e guadagna 3 punti, strappando la maglia verde a Purito Rodriguez che alla partenza aveva 2 punti di margine in questa speciale classifica.
10 giri nel circuito della capitale spagnola per 5,9 km l’uno: Rodriguez quando mancano 50 km circa al traguardo ha un problema meccanico e deve faticare non poco per rientrare nel gruppo per mantenere i 12” di vantaggio per il secondo posto su Majka. Aru nel frattempo se ne sta bello tranquillo, per lui le fatiche son passate.
Una timida azione di 6 valorosi (fra questi Visconti e Montaguti) che tentano un’azione ma che il gruppo controlla a 20”: quando inizia l’ultimo giro del circuito i 6 battistrada vengono infatti ripresi. Le azioni delle squadre dei velocisti superstiti sono importanti e così l’arrivo in volata diviene certo: a spuntarla è finalmente Degenkolb su Von Poppel, al suo primo successo in questa Vuelta dopo i 4 dell’anno passato e che rende ancora più grande la sua squadra, la Giant Alpecin di Tom Dumoulin. E via con le celebrazioni e il podio che profuma d’Italia. Grande, grandissimo Fabio Aru: la Vuelta è tua.