Due atleti. Due storie di doping. Due destini. Molto diversi fra loro
Maria. Masha. Sharapova. Tutto ruota intorno a lei. Alla regina. All’algida siberiana che aveva il regno del tennis nel suo pugno di donna. E che invece, lunedì scorso, ha deciso di confessare al mondo intero che lei, la regina, si dopava. Da mesi.
Sharapova decide, da grande conoscitrice del mondo mediatico, dove quando e cosa dire in confessione, davanti alle telecamere.
Masha studia a tavolino tempi, modi e reazioni possibili di un gesto come il suo. E agisce. Donna manager. Donna dopata. Donna fotografata. E il pubblico e l’opinione pubblica, incredibile ma vero, non se la prendono più di tanto con la regina urlatrice del circo della racchetta. Sì, d’accordo, qualcuno grida allo scandalo e qualche tifoso si dichiara indignato.
Ma tutto, più o meno, finisce lì. Si parla del Meldonium e di come, in Russia, fosse un “medicinale” usato da molti. Sharapova: da regina a rea confessa, anche se la sua ammissione di colpevolezza non sembra incidere più di tanto su quanto Maria ha sin qui guadagnato in termini di prestigio e onore durante la sua carriera. Ben diversamente, lo ricordiamo da italiani, andò al nostro Pirata.
Se pensiamo che la Sharapova ha ammesso di prendere il Meldonium, dobbiamo ricordare che Pantani fu messo in croce, mediaticamente e sportivamente, nonostante il suo doping non fosse stato realmente provato. Anzi. Oggi la Procura della Repubblica di Forlì conferma che subì un complotto da parte della camorra per estrometterlo dalla corsa rosa del 1999.
Ricordiamo le immagini di un confuso Marco Pantani che scende le scale d’ingresso di un hotel, senza aver potuto decidere né i tempi né i modi di quello che avrebbe detto di lì a poco ai giornalisti assiepati e pronti alla sua crocefissione.
Ci torna in mente un sangue che non si sa bene da dove provenisse, portato a esaminare, e messo agli atti ufficialmente come quello del Pirata, senza che nessuno potesse stabilire se questo fosse vero o no. Rammentiamo di un Pantani fresco vincitore di tappa che viene svegliato e portato via nella notte come un assassino impenitente. Riascoltiamo le sue parole di corridore offeso e oltraggiato, che nessuno difese, nessuno. Rivediamo i volti di chi ai microfoni e davanti alle telecamere lo condannò senza esitazione, senza nemmeno fornire al nostro grande campione quel beneficio del dubbio che l’Italia regala così di frequente a stupratori incalliti e imprenditori bancarottieri.
Niente di tutto questo per Marco Pantani. Tutto di questo, al contrario, per Maria Masha Sharapova. Si potrebbe dire “due pesi due misure”, si potrebbe dire “le lenti bifocali dell’antidoping”, si potrebbe dire “la mano sinistra non sa quello che fa la destra”. Oppure, più semplicemente, si potrebbe dire che siamo di fronte a un caso di “ingiustizia sportiva”. E iniziare, finalmente, a cercare la verità sul Pirata. Sarebbe ora, Italia.